AUTODRAMMA DI EMIGRANTI PRIMA: Carmagnola (Borgo Salsasio), Oratorio di San Francesco, 30 giugno 1995 TESTO: Vincenzo Gamna, Marco Pautasso, Eugenio Vattaneo, da un’idea di Angela Inglese REGIA: Vincenzo Gamna e Koji Miyazaki MUSICHE: Fulvio Albano e Gilberto Richiero COSTUMI: Giuliana D’Alberto LUCI: Dario Sardo INTERPRETI: Centotrenta attori, soprattutto provenienti dai quartieri Salsasio e San Francesco di Carmagnola, tra cui Giacomo Ciulla (padre famiglia del sud), Maria Ruccella (madre famiglia del sud), Orazio Ostino (padre famiglia del nord), Nicola Stante (Don Andrea) Libretto “Quando arrivammo qui nell’autunno del 1963, scendemmo alla stazione di Carmagnola, e… non vedevamo nulla! Tutto era avvolto da una nuvola grigio-bianca. Scesi dal treno, scoprimmo che era umida, ma, come allungavamo la mano per toccarla, diventava niente. Che strano il nord, pensavamo, chissà cos’è questa diavoleria che si vede ma non si può afferrare”. La nebbia che accoglie al nord le famiglie meridionali nei primi anni sessanta, come la nebbia che accompagnava gli emigranti piemontesi d’inizio secolo nel loro avvicinarsi al porto di Genova, da cui salpavano destinazione “Americhe”. A ben vedere, più di un semplice fenomeno atmosferico, ma qualcosa che incombe, che sovrasta, che pesa: quasi un destino. Forse una maledizione. Che ammanta esistenze senza sole, e le avvolge come una bandiera, che hai i tristi colori della miseria, della solitudine, della disperazione. Ma nel contempo è la soglia impalpabile da varcare per aprirsi alla speranza, alla luce. E’ la cattiva coscienza, la cortina di pregiudizi e di diffidenza alzata artificiosamente per filtrare la visione della realtà, la barriera da frangere per cogliere la ricchezza nella diversità. E’ il velame che appanna la memoria, il dissolversi dei ricordi, lo svuotarsi di emozioni legate alle proprie tradizioni nell’omologazione distruttiva di un quotidiano che è arduo da accettare. E’ l’offuscamento della ragione da cui possono però trasparire improvvisamente bagliori, emergere pensieri, desideri di cambiamento che chiedono ora conto del loro esistere. Che spingono ad una azione, ad un movimento. Ad un gesto teatrale. Per provare a capire. A far luce. Per riguadagnare il sole perduto. Una raccolta di testimonianze. documento di un’epoca, si fa architettura di una vicenda di una storia che è insieme tante storie, comuni a molti luoghi, in cui riconoscersi, forse riviversi, senza necessariamente identificare persone realmente esistite. Tanti frammenti di vita radunati per comporre un grande affresco popolare, tante voci apparentemente in distonia, armonizzate in un coro, per cantare di una malora, della sventura di chi si vede costretto ad espiantare le proprie radici per coltivare speranze in un altrove spesso ostile. Di chi vive nella nebbia, oggi come ieri. Come sempre. Articolo tratto da “La Stampa” Centocinquanta attori dilettanti in scena alla periferia di Carmagnola Nebbia, dramma dell’emigrazione Lo spettacolo proposto dalla Cooperativa Cantoregi Bella epopea di quartiere messa inscena dai suoi stessi abitanti. Centocinquanta attori non professionisti, per un esodo “biblico” senza ritorno, per un’odissea la cui Itaca è la periferia di Carmagnola. Proprio ai margini della città piemontese, prati e caseggiati del quartiere di San Francesco sono il fondale di Nebbia, lo spettacolo proposto dalla Cooperativa Cantoregi e dal Comitato “Il giorno di San Giacomo”. Protagonista dell’allestimento, la storia scritta “in corsivo”: microstoria confinata attorno ad un agglomerato che ospitò, dagli anni Sessanta, gli immigrati meridionali e ad una chiesetta di legno fondata da un parroco illuminato (interpretato da Nicola Stante). Attori della pièce: gli stessi protagonisti di quell’esperienza, o i loro figli e nipoti, coordinati dal regista Vincenzo Gamna e dal giapponese Koji Miyazaki. Perseguita con scrupolo la cifra dell’amatorialità, del “volontariato” teatrale: per quanto concerne la prassi collettiva e domestica della realizzazione, non certo per l’esito dello spettacolo, che niente ha da invidiare a più titolati allestimenti. Il sottotitolo Autodramma di emarginati è esplicito. Storie personali: ogni “riferimento a fatti accaduti” è voluto. A partire dall scenografi che disegna l’ex quartiere-ghetto come un fortino blindato in lamiera ondulata. La scena mobile si apre ad accogliere suggestivi impasti: dramma e farsa, musical e commedia, movimenti coreografici ad effetto e quadri alla Pellizza di Volpedo, pathos e un po’ di patetico: sul palco persino una partita di pallone, l’interno di una fabbrica e un’auto in movimento. Commistioni anche per i testi (di Gamna, Marco Pautasso ed Eugenio Vattaneo) che, al “parlato semplice” della memoria popolare mescolano brani dalle Troiane, o dal vangelo di Luca. Mentre percussioni metalliche si alternano a canti popolari, brani di Mina e della “Penguin Café Orchestra”. La piccola storia di quartiere si fa storia grande, e parte a ritroso, dall’emigrazione primo-novecentesca dei piemontesi in Argentina. Si passa poi alla vicenda di una famiglia del Sud arrivata a Carmagnola nel ’63. Protagonisti, Giacomo, Maria, i loro figlie nonna Lucia. Tra lavoro in fabbrica e ricerca di una casa, otterranno l’agognata integrazione siglata da un matrimonio “misto”. Ma già compaiono gli scuri profili dei nuovi emigranti. Su tutto, un velo di nebbia ritornante come una coltre calata sulla coscienza. Come il marchio di una storia che semina le sue croci nell’oblio e si ripete puntuale. Silvia Francia Tratto dal TG3 Regionale La nebbia accompagnava gli emigranti piemontesi che all’inizio del secolo partiivano da genova diretti in America. La nebbia accoglie alla stazione le famiglie meridionali che arrivano al nord nei primi anni Sessanta. Su questo simbolico filo conduttore Vincenzo Gamna costruisce un’altra delle sue grandi storie corali. Centotrenta attori non professionisti raccolti tra gli abitanti di Carmagnola, diciotto quadri a raccontare l’incontro-scontro di una comunità alle prese con i problemi dell’immigrazione, fra incomprensioni, tragedie, aperture di speranza, nuove difficoltà all’orizzonte. Una testimonianza collettiva fata di frammenti di vita, singole voci alternata con il ritmo fluido di stilizzati movimenti di danza, luci e canti a comporre un affresco popolare, il documento di un’epoca. Molto efficaci i protagonisti, grandi e piccoli, con l’autenticità dei loro volti e dei loro gesti. Un scenario aperto e suggestivo nel cortile della chiesa di San Francesco. Graziella Riviera