QUEER PICTURE SHOW
di Irene Dionisio e Francesca Puopolo
Il New Queer Cinema raccontato con i linguaggi del digitale da un attore che si muove in un labirinto di immagini. Da Gus Van Sant a Todd Haynes, da Derek Jarman a Bruce LaBruce. Il New Queer Cinema è quella corrente cinematografica che tra la metà degli anni ’80 e i primi ’90 del Novecento ha mobilitato la comunità LGBTQI+ attorno a una serie di titoli e di autori, cementandone l’identità. La regia di Irene Dionisio racconta tutto questo nella forma di una performance multimediale, con un narratore d’eccezione, il Premio Ubu Giovanni Anzaldo, che si muove in un caleidoscopio visivo, tra estratti delle pellicole dei maggiori autori del periodo.

SHAKESPEAROLOGY
di Sotterraneo
Shakespearology è un one-man-show, una biografia, un catalogo di materiali shakespeariani più o meno pop, un pezzo teatrale ibrido che dà voce al Bardo in persona e cerca di rovesciare i ruoli abituali: dopo secoli passati a interrogare la sua vita e le sue opere, finalmente è lui che dice la sua, interrogando il pubblico del nostro tempo. Dice Salinger: “quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono”. È da un po’ di tempo che volevamo usare il teatro come quella famosa telefonata, per incontrare Sir William Shakespeare in carne-e-ossa e fare due chiacchiere con lui sulla sua biografia, su cosa è stato fatto delle sue opere, su più di 400 anni della sua storia post-mortem dentro e fuori dalla scena – come se accompagnassimo Van Gogh al Van Gogh Museum o Dante in mezzo ai turisti che visitano la sua abitazione fiorentina. Partiamo dall’immaginario collettivo per parlare con Shakespeare. Certo, non sarà il vero, autentico, originario William Shakespeare, ma se riusciamo a incontrare anche uno solo dei possibili Shakespeare, forse l’esperimento potrà dirsi riuscito.

LA FABBRICA DEGLI STRONZI
di Kronoteatro
L’incontro sorprendente tra le compagnie Maniaci d’Amore e Kronoteatro, diverse ma accomunate da uno sguardo impietoso sul reale, porta lo spettatore in un mondo isterico, meschino, fatto esclusivamente di vittime. Siamo attorno alla salma di una donna. I tre figli devono lavarla, truccarla e vestirla prima del funerale. Mentre la preparano ripercorrono piccoli episodi significativi della vita familiare. Si tratta di eventi neutri, ma sempre vissuti come terribili abusi, alibi perfetto per continuare una vita senza responsabilità. Per questi personaggi la colpa di ogni loro sofferenza, frustrazione e sventura è sempre attribuita a qualcun altro: la crudeltà dell’altro sesso, la ferocia dei bulli, il duro mondo del lavoro. Ma soprattutto, lei: la madre. A partire da alcune letture fondamentali, tra cui “Critica della vittima” di Daniele Giglioli e “La società senza dolore” di Byung-chul Han, lo spettacolo esplora, con livido umorismo e qualche baluginio di tenerezza, il paradigma vittimario così radicato oggi nella psicanalisi, nei media, nella famiglia, nel nostro modo di abitare il mondo. Lo stile sospeso, surreale, dei Maniaci d’Amore si sposa così con quello abrasivo, amaro, di Kronoteatro, in un lavoro originale che esplora il gusto tutto contemporaneo di riconoscersi non in chi agisce ma in chi subisce, la gara popolare a chi sente di bruciare di più nell’inferno che sono gli altri.

RAMY: TEH VOICE OF REVOLUTION
di Babilonia Teatri
Babilonia Teatri parte dalla scomparsa di Giulio Regeni al Cairo il 25 gennaio 2016. Per costruire con Giulio meets Ramy / Ramy meets Giulio uno spettacolo che ci mette davanti un cittadino italiano, con passaporto italiano, che subisce lo stesso trattamento che generalmente spetta agli egiziani invisi al regime. Sul palco, a cantare contro i regimi, c’è Ramy Essam, conosciuto oggi in Egitto come la voce della rivoluzione, dal 2014 in esilio con sulla sua testa un mandato di cattura per terrorismo, cantore da sempre di libertà e giustizia per il suo popolo. Le canzoni di Ramy danno voce a domande profondamente concrete e politiche: “Cosa significa Stato. Cosa significa giustizia. Cosa significa potere. Cosa significa polizia. Cosa significa processo. Cosa significa legalità. Cosa significa carcere. Cosa significa tortura. Cosa significa opinione pubblica. Cosa significano giornalismo e libertà d’informazione”. L’intento ultimo è una riflessione su quali siano le priorità e quali i valori che lo Stato pone a suo fondamento, quali gli obiettivi che persegue e i diritti che tutela.

MY BODY OF COMING FORTH BY DAY
di Olivier Dubois
Per questo nuovo spettacolo, il coreografo e ballerino di fama internazionale, è solo sul palco. Azionando qualsiasi artificio o rete di sicurezza, è vittima consenziente di un gioco che ricorda a turno un’udienza in tribunale, un peep show e una vivisezione. In un percorso casuale seguito dal pubblico secondo regole prestabilite, rivisita alcuni dei sessanta spettacoli a cui ha preso parte dall’inizio della sua carriera. Stanotte, stanotte, stanotte. Il mio corpo come il Libro dei Morti! Il mio corpo come un lungo ricordo. Porto dentro di me migliaia di movimenti, gesti, posizioni, intenzioni, sentimenti. Sudore, emorragie, centinaia di ferite, cicatrici, gioia e dolore. Cosa resta di tutto questo? Cosa ricordo? Potremmo anche considerarci – intendo noi artisti – come opere d’arte per il semplice fatto che i nostri corpi contengono la carne dell’arte performativa? Non risponderemo ora a queste domande, ma cercheremo insieme di fare un nuovo passo, un passo attraverso una dissezione del mio corpo come ricordo, come megafono della perdita di me stesso per l’arte. Propongo un gioco, potrebbe essere visto come una prova, un tempo per sbirciare, un taglio dentro di me. Siete pronti? Quindi iniziamo a giocare!