STUPEFACENTE PRIMA: Racconigi, Parco dell’ex ospedale psichiatrico, 7 giugno 2002 PROGETTO: Vincenzo Gamna, Grazia Isoardi, Koji Miyazaki, Marco Pautasso TESTI: Giorgio Cattaneo REGIA: Koji Miyazaki AMBIENTE E LUCI: Koji Miyazaki ELAB. SONORE: Gilberto Richiero e Davide La Torre COSTUMI: Luciana Bodda, Rinuccia Burzio INTERPRETI: Sessantaquattro attori in scena, alcuni dei quali partecipanti a un laboratorio teatrale tenutosi con alcuni ex ospiti della struttura ospedaliera Libretto Ogni esistenza è pensiero dell’eternità vissuto nella sua quotidiana conquista” (Edmond Jabes) Il titolo è un’invenzione linguistica, un neologismo, una sintesi verbale che al circo per antonomasia Barnum unisce lo psicofarmaco più conosciuto e consumato, il Valium. E’ infatti, in queste due direzioni, il circo e la terapia, che prova a muoversi tutto l’impianto drammaturgico. Al circo rimanda la composita troupe di “attori” e tecnici, una sessantina di persone, riunitesi a conclusione di un percorso di laboratorio teatrale: operatori ed utenti del Dipartimento di Salute Mentale, volontarie giovani studenti. Ma al circo rimanda anche la composizione del mosaico, la scansione a “numeri” che connota la scrittura scenica. Il circo dunque come veicolo privilegiato per una comunicazione immediata ed “altra”, il luogo dove si contaminano sensibilità diverse, forse l’unica messinscena artistica contemporanea che sa armonizzare verità e finzione. Quello di Bariùm è un circo “sui generis”, improbabile, malcerto eppure unico, in cui la pista, volutamente non circolare, vuole comunque realizzare una comunione con il pubblico, e il cui tendone rivela il cielo e le stelle. La mancanza del cerchio, che nel circo ha forte valenza simbolica e indica omogeneità, assenza di distinzione e di divisione, ma definisce sempre e solo lo spazio e il momento, non abdica alla ricerca di una unità, di una condivisione, intende anzi perseguire il tentativo di una comunità più ampia, allargata, che si allunga oltre lo stretto ambito scenico, per rendere intellegibile e affermare una volontà di comunicazione, di partecipazione, di integrazione con la diversità e il pubblico. Articolo di Francesca Paci tratto da “La Stampa” Un elettroshock per Sofocle Gli attori hanno vissuto l’orrore degli ex manicomi Sul palco veste il mantello nero di un prestigiatore e sfodera dal cilindro un barboncino marrone: doveva essere un coniglio ma il pubblico, con lui, immagina orecchie e coda a batuffolo. Nella vita, le “visioni” accompagnano Alessandro Mantelli da quando era adolescente e in manicomio lo curavano a scosse di elettroshock, “ne ricordo tredici appena arrivato, piangevo ma mi calmavano, avevo la testa fasulla, vedevo ovunque ragazze che non c’erano”. All’ex ospedale psichiatrico di Racconigi, dove lavora nella compagnia teatrale Progetto Cantoregi insieme con Grazia Isoardi e Alessandro Vallarino, è arrivato a 26 anni. “Ora ne ho sessantuno e sto bene, sono stato dimesso”, racconta mentre passeggia per il viale alberato del parco, un silenzio spettrale rotto dal frinire delle cicale che si perde nell’afa di luglio. Introno, i padiglioni abbandonati, dove fino al ’98, vent’anni dopo l’approvazione della legge 180, dormivano ancora i pazienti rimasti senza destinazione, il Tamburini, il Chiarugi, il Morselli da cui una volta entrati non si usciva più, custodiscono l’eco di millecinquecento grida segregate. Alessandro ricorda solo il distacco dal fratello Bruno, adorato. I calmanti, la camicia di forza, la violenza, sono rimasti fuori dal residence Orchidea che lo ospita, lo sguardo è avanti. Il 23 luglio sarà in scena con ventuno “compagni della comunità Monviso”, tutti in cura al dipartimento di salute mentale, ai giardini di Palazzo Reale di Torino: Barium, uno spettacolo organizzato dal Regio in collaborazione col Comune e con La Stampa, è il suo secondo debutto e, dopo il successo di Voci erranti, ha cominciato a sentirsi davvero un attore. “Quando venne il regista – dice Alessandro – pensavo fosse un poliziotto con quell’impermeabile coi bottoni tondi, pioveva. Mi disse che sembravo Eduardo De Filippo e siamo diventati amici, io e Gamna Vincenzo”. Ha in mente tutte le persone conosciute, il cognome e poi il nome, come a scuola. Bruno Giovanni, che sotterrava nel parco un flacone di monete da cent lire. Crippa Bruno, l’infermiere del cuore, oggi pensionato in servizio come volontario. Brondino Frontone, “un grande interprete, provando il vecchio spettacolo tirò fuori quella volta che i carabinieri andarono a prenderlo in baita per portarlo al manicomio di Collegno, lui si era nascosto in una madia”. Dal 1200, coi “vescovi folli” autorizzati a portare in scena “i panni sporchi” della società medievale, il teatro duetta con la pazzia: l suo alter ego, secondo lo scrittore francese Antonin Artaud che, nel 1938, pubblicò Il teatro e il suo doppio, manuale inossidabile per studenti di drammaturgia. In Italia il Progetto Cantoregi di Racconigi, non è un caso isolato. C’è il regista Pippo Del Bono che dal laboratorio del teatro di Aversa ha portato in compagnia Bobo, un microcefalo, ormai compagno inseparabile. Danio Manfredini, gran mattatore di Cremona, a lungo responsabile del corso di pittura nella comunità psichiatrica meneghina Casa Nuova. Il festival del teatro patologico, pensato da Dario D’Ambrosi dopo un periodo con gli internati del Pini di MIlano. Alessandro Mantelli non sa nulla di loro, cognomi e nomi mai sentiti, una storia che non ha bisogno di imparare dai libri. da quando calca le scene invece, ha scoperto Eschilo, Sofocle, il passato lontano e altro, “ho visto tragedie estive, bellissime”. E’ una sorta di capocomico della compagnia, tiene un diario delle prove, aiuta il regista a costruire il testo a suon di associazioni mentali a valanga, incoraggia i compagni. Liliana Bosso è agitata per il debutto di Barium, arriva a passetti svelti dal padiglione Tigli dove vive e siede su una panchina, testa bassa, spalle strette nella camicetta blu. In scena dovrebbe essere lobotomizzata, l’ex ospedale di Racconigi fu l primo in Europa a sperimentare l’intervento, ma non è quel ruolo che la preoccupa. “Sono depressa, ho bisogno d’affetto – dice tutto d’un fiato guardando fisso in terra una moneta da venti centesimi che non raccoglie – ogni sera per dormire prendo ottanta gocce di calmanti, poi iniezioni, sempre così”. Liliana, Lily per gli amici del parco, è famosa per le fughe, l’ultima un mese fa, “vado a casa da mia cognata, ma poi torno qui Marina, Marilena, Augusta, le infermiere mi vogliono bene”. Racconta di aver visto il primo manicomio a quindici anni, A Collegno, “mi ci accompagnò mia madre, non mi voleva, venne la croce rossa a portarmi via, non posso più sentir urlare”. Da allora, è entrata, uscita, scappata, al Tigli è in cura dal ’96. lo spettacolo del 23 luglio significa un programma per chi con la memoria ha cassato la capacità di progettare. Quando qualcuno sbanda, Eugenio Ballari agita le mani nervose che per mezzo secolo hanno lavorato nei campi dell’ospedale per un bicchiere di vino al giorno: richiama all’ordine la compagnia col suo linguaggio. Il piccolo uomo con le spalle tanto curve da formare un angolo retto col resto del busto, è al Morselli da quando aveva cinque anni, ne son passati sessantatré. Si ritrae timido al ricordo dell’elettroshock, la cena a base di verdura a un po’ di cioccolata, 360 persone gomito a gomito a prendere aria nei cortili di pochi metri quadrati dentro i padiglioni, ma appena sale sul palco di Barium, la giacca scura luccicante di alamari, solleva lo sguardo, gonfia il petto gracile e sorride. Francesca Paci Articolo tratto da “L’Unità” Venite al Barium, il circo che fa bene all’anima e alla mente Da tempo le idee viaggiano sulle t-shirts. I miei figli ne hanno una con due globi terracquei sorridenti che si tengon per mano. C’è scritto”Mondi diversi… senza diversi”. Se serve a farli crescere nell’idea di uguaglianza e fraternità, allora ringrazio l’ideatore della maglietta che mi aiuta, col suo piccolo contributo, a fare il genitore in un paese dove devo spiegare l’assurdità e la crudeltà di una legge come la Bossi-Fini a due ragazzini che già da soli ne percepiscono l’aberrazione. Così succede con Barium (l’altra sera in replica, con successo, nel cortile di Palazzo Reale a Torino, spettacolo sopite del Teatro Regio, con la regia di Koji Miyazaki su progetto curato con Vincenzo Gamna, Grazia Isoardi, Marco Pautasso, Giorgio Cattaneo e Alessandro Vallarino) per il quale non si dovrebbe mai smettere di ringraziare quanti si sono spesi dedicando tempo e fatica, non importa in che ruolo dal regista alla comparsa, da musicante al trovarobe, per una pièce che sullo spettatore allo stesso tempo ha una forza d’urto gigantesca e una sensibilità talmente delicata da commuovere. E’ un lavoro teatrale in cui a una voce chiara e pacata contro la diversità coatta, si unisce un’altrettanto tranquilla, ma ferma, protesta per avere una medicina ogni giorno più umana e per modelli di terapia che siano meno egemonizzati dalle pillole, contro metodi che curando il disturbo spengono la persona, lasciandola inerte e accartocciata su se stessa. Barium (come Barnum, circo per eccellenza, ma anche come Valium, lo psicofarmaco per antonomasia) protagonisti – perché tutti meritano la ribalta – ne ha una settantina tra gli attori di Progetto Cantoregi e quelli del laboratorio teatrale, organizzato dall’Associazione Voci Erranti, per studenti, operatori ed utenti del Dipartimento di Salute Mentale di Racconigi (Cuneo), tra cui alcuni ex ricoverati del locale ex ospedale psichiatrico, chiuso come gli altri dopo l’avvento della legge Basaglia. Tuto lo spettacolo vive sul parallelismo tra il circo e la terapia. Da un lato il mondo nomade che vive sotto il tendone, con la sua scansione a numeri individuali e di gruppo, con le sue mirabolanti imprese, con le fascinose interpreti che si fissano nell’immaginario di ognuno, con gli artisti sempre più spericolati e alla ricerca dell’impresa più difficile. Ma non è un circo tradizionale: intanto si sviluppa sotto le stelle, quasi per ampliarne la dimensione, poi non ha la pista che definisce lo spazio tra l’artista e lo spettatore, per cui la distinzione tra chi sta di qua e chi sta di là, tra i camici bianchi e i pazienti, tra i normali ed i diversi non c’è più. Tutti uguali, tutti coinvolti, tutti consapevoli. Ma non non soltanto del circo e nel circo, perché Barium è anche una storia dedicata alla terapia, alla cura, al dormitorio e alla colonia agricola, alla sala operatoria e all’ambulatorio, al refettorio, al cortile, alle docce, prendendo spunto dagli scritti, dai disegni, dalla memoria degli ex degenti. Insomma una favola di lieve sensibilità e di profonda riflessione contro barriere soprattutto invisibili. Luis Cabasés Articolo tratto da “La Stampa” Bariùm è la vita non solo terapia La Stampa-Torino, 25 luglio 2002 C’e’ l’acrobata e il lanciatore di coltelli, l’illusionista che cava un cagnolino dal cappello a cilindro e la virtuosa della camminata sul filo. Ma non e’ un circo come gli altri, quello di <>, spettacolo presentato l’altra sera a Palazzo Reale, davanti a un pubblico numeroso e coinvolto. Se si capisce il senso del titolo, si comprende anche perche’ non si tratta di un circo qualunque. La parola Barium <<e’ una=”” sintesi=”” verbale=”” che=”” al=”” circo=”” per=”” antonomasia,=”” barnum,=”” unisce=”” lo=”” psicofarmaco=”” piu’=”” conosciuto=”” e=”” consumato=””>> spiegano gli autori Vincenzo Gamna, Grazia Isoardi, Koji Miyazaki e Marco Pautasso (il testo, invece, e’ di Giorgio Cattaneo). L’allestimento, diretto dal giapponese Miyazaki e realizzato dal Progetto Cantoregi con Associazione Voci Erranti e Dipartimento di Salute Mentale ASL 17 di Fossano-Saluzzo-Savigliano (in collaborazione con La Stampa) si colloca proprio in uno spazio di confine tra arte e terapia. Non per nulla, gli interpreti, gli <> e i tecnici che animano questo toccante circo <>, sono operatori e utenti del Dipartimento mentale, oltre a studenti e volontari, tutti coinvolti in un laboratorio che ha costituito la genesi di <>. Un cast composito, dunque, in cui non mancano ex degenti dell’ospedale psichiatrico di Racconigi, per uno spettacolo giocato sulla doppia valenza circense e terapeutica. L’intreccio tra gioco scenico e evocazione di ambienti e spazi dove si esercitano le cure, e’ senza soluzione di continuita’ e, percio’, ancor piu’ suggestiva. Dal clown, dal lanciatore di coltelli che colpisce chiunque tranne il bersaglio, si passa ad azioni corali che richiamano scene di <>, descritte con levita’ poetica. Non manca un messaggio: difficile vivere questa esistenza impasticcata e ingabbiata, dove <>, dove si va avanti a suon di stupefancenti, senza deragliare, qualche volta dai binari, senza essere, come si dice, un po’ <>. Silvia Francia

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