MISTERO DRAMMATICO SULLA SINDONE PRIMA: Torino, Cortile del Seminario Metropolitano, 11 giugno 1998 TESTO: Giacomo Bottino, Vincenzo Gamna, Aldo Longo, Koji Miyazaki, Marco Pautasso, da una cronaca del XVI secolo. Consulenza di don Lorenzo Savarino REGIA: Vincenzo Gamna e Koji Miyazaki MUSICHE: Gilberto Richiero COSTUMI: Giuliana D’Alberto INTERPRETI: Elsa Abrate (la badessa deposta), Alessandra Lappano (la badessa), Susanna Paisio (la novizia del dubbio), Riccardo Lombardo (il capitano), Chiara Rosenthal (la novizia del “deserto”), Daniela Calò (voce della novizia del “deserto”) Libretto Chambery, aprile 1534. Una gelida primavera. Nel convento delle Clarisse le monache sono intente a rammendare su un grande telaio le bruciature causate alla Sindone, due anni prima, dall’incendio della Sainte-Chapelle. In quel microcosmo di clausura, circoscritto da mura inviolabili, si svolge, con un filo che riannoda la trama della tela, l’umana vicenda delle suore. Le passioni dell’anima, le ragioni del cuore e della fede si confrontano, nella loro vivace dialettica, con la realtà e la presenza del misterioso Sudario. Mentre dall’esterno il fervore laborioso della comunità monastica viene a tratti turbato dal premere di una folla rumorosa e incombente di pellegrini, che chiedono a gran voce di vedere il “segno”, l’immagine del corpo di Cristo. Sottesi dal dialogo interiore di una novizia, che ha scelto il “deserto”, cioè la solitudine e il silenzio, i quattordici quadri di questo mistero drammatico, per usare una definizione tipica della drammaturgia medievale, sono la metafora del conflitto tra due mondi o forse due visioni del mondo: il “dentro” e il “fuori”, continuamente evocati da quei personaggi ()le converse, il capitano della guardia ducale, i pellegrini) in bilico tra la cronaca impresa diretta o appena differita e la testimonianza immaginaria. E così la Sindone, “straccio sublime”, “immagine di straordinaria distanza e inscrutabile lume”, secondo le parole di Giovanni Arpino, progressivamente prende forma e consistenza, si “svela”, in uno spettacolo di immagini e di suoni, dominato dall’ispirazione, dal verbo, dalla “sete di assoluto” dei grandi testi della mistica cristiana. Articolo tratto da “Avvenire” In scena nel cortile del vecchio seminario di Torino “Il segno”, liberamente ispirato ad una cronaca del XVI secolo Dramma sacro sulla Sindone Quattordici “quadri” in sequenza, secondo i modi di un’autentica sacra rappresentazione, per uno spettacolo celebrativo dell’evento dell’Ostensine della Sindone che si conclude domani, presentato nelle ultime tre sere. La “prima” si è svolta giovedì, apprezzata dal pubblico accorso numeroso. Proposto come “Mistero drammatico sulla Sindone”, dall’associazione Progetto Cantoregi, Il segno si è potuto avvalere della consulenza di don Renzo Savarino, docente di Storia della Chiesa della Sezione torinese della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, ed è stato allestito nel grande cortile restaurato del vecchio seminario di via XX Settembre, a pochi metri dal Duomo. Il testo, firmato da Giacomo Bottino, si ispira liberamente ad una cronaca del XVI secolo, che riproduce i dialoghi delle monache clarisse del convento di Chambery, alle quali fu affidato nel 1534 il compito di restaurare il Sacro Lenzuolo, danneggiato da un incendio di due anni prima nella Sainte-Chapelle. L’ambientazione data dalla “drammaturgia” alla quale hanno lavorato i registi Vincenzo Gamna e Koji Miyazaki, giapponese, è volutamente disinvolta, in omaggio al diritto di citazione post-moderno, e indulge alle contaminazioni di linguaggio, di stile, di spazio, di tempo, allo scopo di creare un’atmofera coinvolgente per lo spettatore. Spettatore che si trova ad un certo punto ad essere al centro di un’azione scenica alla quale partecipano quaranta vigili del fuoco, gli stessi che nello scorso anno sono stati protagonisti del salvataggio della Sindone. L’azione e i dialoghi sono ricchi di elementi tratti dalla tradizione della sacra rappresentazione, ma non solo. C’è attenzione alla cultura popolare, riflessa nella molteplicità delle forme linguistiche, con al centro il “grammelot” delle converse. C’è una ricerca sulla tradizione mistica che fa riferimento più che a San Francesco, a San Giovanni della Croce e alle due sante Teresa, d’Avila e di Lisieux, ma c’è soprattutto l’invito decostruzionistico a riconoscere una stratificazione di opere precedenti, che vanno dai Dialoghi delle carmelitane di Bernanos, a Il settimo sigillo bergmaniano. E’ del resto quanto aveva già affermato don Savarino nei giorni scorsi in occasione della presentazione del programma: “Il monastero delle Clarisse si trasforma in un allusivo microcosmo in cui coesistono e si affrontano contrastanti sensibilità e opposte concezioni di fronte agli interrogativi fondamentali dell’esistenza e al senso della vita religiosa”. I personaggi sulla scena instaurano tra loro un dialettica che pone in relazione sia i gruppi, sia le singole individualità. I gruppi sono dati dalle categorie delle donne che vivono nel monastero e inoltre dalla folla che preme all’esterno in modo scomposto, desiderosa di vedere la reliquia di Cristo. Ma sono i dialoghi diretti e i momenti individuali di meditazione quelli nei quali si esprime in forma più intensa la ricerca del dramma sacro che si apre al mistero della fede nei suoi aspetti più intimi e sublimi. Un “mistero drammatico” dunque che intende sfidare la caduta di valori e di senso della post-modernità con un richiamo forte alla tradizione spirituale, presentato con passione da due registi che si dichiarano uno cattolico e l’altro buddista. Buona l’interpretazione con Alessandra Lappano (la badessa), Susanna Paisio (la novizia del dubbio), Chiara Rosental (la novizia del deserto). Musiche di Gilberto Richiero, partecipazione dei Piccoli Cantori di Torino, diretti da Giorgio Guiot. Giorgio Straniero Articolo di Silvia Francia da “La Stampa” La Sindone sulla scena La Stampa-Torino, 29 maggio 1998 Venti attrici e un solo interprete per ripercorrere sul palcoscenico un momento cruciale della storia della Sindone. Il cast al femminile vestira’ i panni delle clarisse del monastero di Chambery che riparano il Sacro Lino, due anni dopo l’incedio della Sainte-Chapelle che ne aveva danneggiato alcune parti. L’atmosfera claustrale e la sacralita’ di quel lavoro di rammendo, durato quindici giorni, saranno rievocate nel Cortile del Seminario (via XX Settembre 83), dall’11 al 13 giugno alle 21, con la messa in scena de “Il Segno” curata dall’associazione Progetto Cantoregi. L’allestimento e’ realizzato con contributi di Regione, Comune, Provincia, del Comitato per l’Ostesione della Sindone e dell’Arcidiocesi di Torino. “Si tratta dell’unico spettacolo sostenuto dal Comitato per l’Ostensione della Sindone, dal momento che non si voleva certo trasformare questo evento in una kermesse”, ha spiegato l’assessore Giampiero Leo che, con il collega Ugo Perone, ha presentato la manifestazione ieri in Comune. Sottotitolato ” Mistero drammatico sulla Sindone”, “Il Segno” si fonda su un testo di Giacomo Bottino ispirato a una cronaca anonima del XVI secolo (scritta probabilmente dalle stesse monache che ebbero in custodia la Sindone, spiega Bottino): alla drammaturgia hanno collaborato Aldo Longo, Marco Pautasso e i registi dello spettacolo, Vincenzo Gamna e il giapponese Koji Miyazaki. Ad animare la comunita’ monastica che ebbe in custodia la sacra reliquia sono le interpreti Elsa Abrate, Alessandra Lappano, Susanna Paisio e Chiara Rosental, affiancate da una quindicina di attrici della Cantoregi, mentre Riccardo Lombardo veste i panni del capitano della guardia ducale che consegno’ la Sindone alle suore. Non manca la “partecipazione speciale” di una quarantina di vigili del fuoco (protagonisti del salvataggio della Sindone nel ’97) che rievocano l’incendio della Sainte-Chapelle con un “colpo di teatro” non svelato dagli autori. In un’atmosfera rarefatta e simbolica, si muovono le monache, parlando lingue differenti a seconda del loro rango: da un popolaresco miscuglio di dialetti alla terminologia mistica. Costruito attorno al monologo interiore di una clarissa che ha scelto il “deserto”, cioe’ solitudine e silenzio, lo spettacolo e’ articolato in 14 quadri, come una sacra rappresentazione: un racconto “in bilico tra la cronaca in presa diretta e la testimonianza immaginaria”. Silvia Francia Articolo di Osvaldo Guerrieri da “La Stampa” “Il Segno” con il Progetto Cantoregi La Stampa-Torino, 14 giugno 1998 Il Progetto Cantoregi di Vincenzo Gamna non poteva non cogliere l’enorme suggestione irradiata dalla Sindone. Al di la’ del mistero religioso e degli enigmi scientifici, quel lenzuolo e’ profondamente radicato nella devozione popolare; e poiche’ la Cantoregi e’ nata e si e’ sviluppata sulla costola nobile del racconto popolare, ecco ” Il segno”, un “mistero drammatico” firmato da Giacomo Bottino, Vincenzo Gamna, Aldo Longo, Koji Miyazaki e Marco Pautasso, andato in scena nel cortile del Seminario di via XX Settembre. Lo spettacolo si ispira alla Cronaca delle monache Clarisse di Chambery che nel 1534, mentre rammendavano la Sindone danneggiata dall’incendio del 1532, lasciavano una descrizione vibrante dell’immagine impressa sul lino. Per uno straordinario sortilegio immaginativo, quelle parole e quelle note invadono l’animo di chi (novizia e no) abita il monastero, hanno il potere di valicare le barriere del tempo, per cui l’incendio di allora si confonde e si mescola con quello dell’anno scorso, i tormenti delle recluse sfumano in altre e piu’ contemporanee lacerazioni. Detta cosi’, la vicenda sembra tendere a un “assoluto innaturale” da cui, pero’, lo spettacolo e’ lontano. E magari l’avessimo avuto quel tipo di astrazione. Forse saremmo usciti dal bellissimo cortile con un diverso stato d’animo. Il fatto e’ che, questa volta, non siamo riusciti ad apprezzare fino in fondo il lavoro di Gamna. Preso a frantumi, lo spettacolo e’ colmo di suggestioni, di finezze, di ricercatezze. Ma, allargando lo sguardo alla visione d’insieme, il risultato lascia insoddisfatti. Perche’? Di sicuro il ritmo e’ slabbrato, reso piu’ faticoso da qualche disguido tecnico; di sicuro ci sono troppi livelli e intrecci espressivi; ma poi, da questa tela non propriamente fitta sbucano spettacolarismi discutibili. La calata dei pompieri e’ un giochino un po’ facile, la metafora del lenzuolo un po’ troppo insistita, le proiezioni iconografiche inutili. Insomma nessuno ha fatto come Sant’Antonio nel deserto, che ha saputo resistere alle tentazioni della grandiosita’. Ma l’impegno (anche della compagnia) e’ degno d’applauso. Osvaldo Guerrieri