PRIMA: Saluzzo, Casa di Reclusione “La Felicina”, 25 giugno 2003 TESTO: Grazia Isoardi e Fabio Ferrero, con la partecipazione degli attori della Casa di Reclusione REGIA: Koji Miyazaki AMBIENTE: Koji Miyazaki INTERPRETI: Attori della Casa di Reclusione “La Felicina”, partecipanti al laboratorio teatrale condotto da Grazia Isoardi. Libretto Ecco l’immensa porta al margine della foresta. Di là il mostro a guardia del bosco di cedri sacro agli dei. Di qua la sfida lanciata dall’uomo creatura vagante mostruosa fatta d’argilla. Una strana storia tra l’argilla e il cielo. Una storia di bordo. Nessuno è vinto. Nessuno è vincitore. Ecco l’immensa porta. Varcare la soglia. Di questo si tratta. Passaggio e guado. Una lacerazione nel varcare la soglia. Morte e rinascita. (da L’Epopea di Gilgamesh) Nella percezione comune in carcere non manca nulla. Manca “solo” la libertà. In realtà l’assenza di libertà che più di ogni altra emerge, è la costrizione dei gesti, dei movimenti, delle parole… In carcere non si può gridare, non si può litigare, non ci si può rilassare. E’ come vivere in una stanza insonorizzata dove la dimensione dell’ordine è caratterizzata dall’assenza di movimento e di rumore. Il teatro è “il luogo per eccellenza”. Il carcere è “varcare la soglia”. Articolo tratto da “La Repubblica” Saluzzo, per la prima volta il laboratorio creato alla Felicina dà vita a uno spettacolo fuori dalle mura del penitenziario. Ed è un successo Teatro in piazza sognando la vita Per i detenuti attori un’ora di libertà L’applauso finale è spontaneo, lungo e ripetuto. Gli attori, in gran parte a torso nudo, qualcuno con una canottiera nera, tutti con pantaloni combat verde militare, ringraziano con un inchino, poi spariscono dietro la quinta di carton gesso. Non ci sono camerini ad aspettarli ma i cellulari della polizia penitenziaria che li riporteranno nelle loro celle alla Felicina, il carcere saluzzese. Quello che è andato in scena ieri pomeriggio a Saluzzo (Cuneo), in piazza della Castiglia, di fronte all’omonimo carcere, una tetra prigione chiusa nel ’92, è uno spettacolo unico: nove monologhi in una cornice di musica e danza recitato dai detenuti della Felicina. Il titolo è “La soglia”, sottintendendo quella che separa la libertà dalla detenzione. Un testo messo a punto dai prigionieri con l’aiuto di Grazia Isoardi, direttrice del laboratorio teatrale. Ieri, in occasione del convegno nazionale “Esperienze teatrali in carcere” svoltosi al chiostro di San Giovanni, per la prima volta i detenuti-attori si sono esibiti in piazza. Sorvegliati discretamente dagli agenti della polizia penitenziaria (in borghese e con le pistole celate nei borselli, solo due le mitragliette affidate alle guardie in punti strategici) i prigionieri della Felicina, diretti dal regista giapponese Koji Miyazaki, hanno recitato per un vero pubblico. In scena undici detenuti, molti dei quali condannati a pene pesanti, tre ex loro compagni di cella che pur essendo tornati liberi non hanno voluto mancare e sei attori di una compagnia teatrale della zona. L’ovazione finale è la ricompensa non solo per loro ma anche per Marta Costantino, giovane direttrice del carcere saluzzese e una delle tre donne che sono all’origine di questa storia. “Tre pazze in realtà. Quando tre anni fa ho assunto la direzione della Felicina la situazione era difficile. Il carcere era un qualcosa in cui chiudere le persone. Volevo fare qualcosa e Antonella Basile, responsabile degli educatori, mi ha fatto conoscere Grazia Isoardi…” Il laboratorio è nato nel novembre di due anni fa. “Per reclutare gli attori è bastato affiggere un cartello in cui si spiegava che c’era la possibilità di recitare”, sottolinea la direttrice della Felicina. Dei 370 detenuti se ne sono presentato solo venti, qualche mese dopo altri venti. Ne frattempo però altri avevano dato vita ad un giornale, “Parole in libertà”, voluti da Marta Costantino ma pensato e scritto in totale libertà dai reclusi. “I primi tre mesi sono stati durissimi. Avevamo di fronte uomini che non erano solo chiusi in una cella ma anche dentro se stessi”, racconta Grazia Isoardi. Recitando ad alta voce, spesso urlando però i prigionieri della Felicina si sono riscoperti non solo attori ma uomini. Giuseppe di Caltanisetta, 29 anni, in galera da quando ne aveva 20 con una condanna di 15 per omicidio, dice:” Forse se avessi conosciuto questo prima non sarei qui. Nel laboratorio ho guardato dentro di me, visto il buono e il cattivo e mi sono accettato. La rabbia che mi ha spinto ad uccidere si è placata”. Guido, un tempo giocatore di basket a Varese, deve scontare otto anni. “Ho fatto una cazzata, recitare è un modo per non perdersi”. Marco, 36 anni, è uscito a novembre dopo dodici mesi per traffico di droga ma ha voluto andare in scena lo stesso. Anche Pablo, senegalese arrestato per droga,è libero, ma da Napoli è tornato a Saluzzo per lo spettacolo. “Ho fatto quasi tre anni in cella, faccio parte del gruppo”. Namil, tunisino di 35 anni, dal ’96 in galera per droga e con otto anni davanti, ammette: “Sinora avevamo recitato in carcere, qui è diverso. Sto assorbendo tutto quello che vedo, alleno la vista. Là ho di fronte solo un muro”. Meo Ponte