Il Segno

MISTERO DRAMMATICO SULLA SINDONE PRIMA: Torino, Cortile del Seminario Metropolitano, 11 giugno 1998 TESTO: Giacomo Bottino, Vincenzo Gamna, Aldo Longo, Koji Miyazaki, Marco Pautasso, da una cronaca del XVI secolo. Consulenza di don Lorenzo Savarino REGIA: Vincenzo Gamna e Koji Miyazaki MUSICHE: Gilberto Richiero COSTUMI: Giuliana D’Alberto INTERPRETI: Elsa Abrate (la badessa deposta), Alessandra Lappano (la badessa), Susanna Paisio (la novizia del dubbio), Riccardo Lombardo (il capitano), Chiara Rosenthal (la novizia del “deserto”), Daniela Calò (voce della novizia del “deserto”) Libretto Chambery, aprile 1534. Una gelida primavera. Nel convento delle Clarisse le monache sono intente a rammendare su un grande telaio le bruciature causate alla Sindone, due anni prima, dall’incendio della Sainte-Chapelle. In quel microcosmo di clausura, circoscritto da mura inviolabili, si svolge, con un filo che riannoda la trama della tela, l’umana vicenda delle suore. Le passioni dell’anima, le ragioni del cuore e della fede si confrontano, nella loro vivace dialettica, con la realtà e la presenza del misterioso Sudario. Mentre dall’esterno il fervore laborioso della comunità monastica viene a tratti turbato dal premere di una folla rumorosa e incombente di pellegrini, che chiedono a gran voce di vedere il “segno”, l’immagine del corpo di Cristo. Sottesi dal dialogo interiore di una novizia, che ha scelto il “deserto”, cioè la solitudine e il silenzio, i quattordici quadri di questo mistero drammatico, per usare una definizione tipica della drammaturgia medievale, sono la metafora del conflitto tra due mondi o forse due visioni del mondo: il “dentro” e il “fuori”, continuamente evocati da quei personaggi ()le converse, il capitano della guardia ducale, i pellegrini) in bilico tra la cronaca impresa diretta o appena differita e la testimonianza immaginaria. E così la Sindone, “straccio sublime”, “immagine di straordinaria distanza e inscrutabile lume”, secondo le parole di Giovanni Arpino, progressivamente prende forma e consistenza, si “svela”, in uno spettacolo di immagini e di suoni, dominato dall’ispirazione, dal verbo, dalla “sete di assoluto” dei grandi testi della mistica cristiana. Articolo tratto da “Avvenire” In scena nel cortile del vecchio seminario di Torino “Il segno”, liberamente ispirato ad una cronaca del XVI secolo Dramma sacro sulla Sindone Quattordici “quadri” in sequenza, secondo i modi di un’autentica sacra rappresentazione, per uno spettacolo celebrativo dell’evento dell’Ostensine della Sindone che si conclude domani, presentato nelle ultime tre sere. La “prima” si è svolta giovedì, apprezzata dal pubblico accorso numeroso. Proposto come “Mistero drammatico sulla Sindone”, dall’associazione Progetto Cantoregi, Il segno si è potuto avvalere della consulenza di don Renzo Savarino, docente di Storia della Chiesa della Sezione torinese della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, ed è stato allestito nel grande cortile restaurato del vecchio seminario di via XX Settembre, a pochi metri dal Duomo. Il testo, firmato da Giacomo Bottino, si ispira liberamente ad una cronaca del XVI secolo, che riproduce i dialoghi delle monache clarisse del convento di Chambery, alle quali fu affidato nel 1534 il compito di restaurare il Sacro Lenzuolo, danneggiato da un incendio di due anni prima nella Sainte-Chapelle. L’ambientazione data dalla “drammaturgia” alla quale hanno lavorato i registi Vincenzo Gamna e Koji Miyazaki, giapponese, è volutamente disinvolta, in omaggio al diritto di citazione post-moderno, e indulge alle contaminazioni di linguaggio, di stile, di spazio, di tempo, allo scopo di creare un’atmofera coinvolgente per lo spettatore. Spettatore che si trova ad un certo punto ad essere al centro di un’azione scenica alla quale partecipano quaranta vigili del fuoco, gli stessi che nello scorso anno sono stati protagonisti del salvataggio della Sindone. L’azione e i dialoghi sono ricchi di elementi tratti dalla tradizione della sacra rappresentazione, ma non solo. C’è attenzione alla cultura popolare, riflessa nella molteplicità delle forme linguistiche, con al centro il “grammelot” delle converse. C’è una ricerca sulla tradizione mistica che fa riferimento più che a San Francesco, a San Giovanni della Croce e alle due sante Teresa, d’Avila e di Lisieux, ma c’è soprattutto l’invito decostruzionistico a riconoscere una stratificazione di opere precedenti, che vanno dai Dialoghi delle carmelitane di Bernanos, a Il settimo sigillo bergmaniano. E’ del resto quanto aveva già affermato don Savarino nei giorni scorsi in occasione della presentazione del programma: “Il monastero delle Clarisse si trasforma in un allusivo microcosmo in cui coesistono e si affrontano contrastanti sensibilità e opposte concezioni di fronte agli interrogativi fondamentali dell’esistenza e al senso della vita religiosa”. I personaggi sulla scena instaurano tra loro un dialettica che pone in relazione sia i gruppi, sia le singole individualità. I gruppi sono dati dalle categorie delle donne che vivono nel monastero e inoltre dalla folla che preme all’esterno in modo scomposto, desiderosa di vedere la reliquia di Cristo. Ma sono i dialoghi diretti e i momenti individuali di meditazione quelli nei quali si esprime in forma più intensa la ricerca del dramma sacro che si apre al mistero della fede nei suoi aspetti più intimi e sublimi. Un “mistero drammatico” dunque che intende sfidare la caduta di valori e di senso della post-modernità con un richiamo forte alla tradizione spirituale, presentato con passione da due registi che si dichiarano uno cattolico e l’altro buddista. Buona l’interpretazione con Alessandra Lappano (la badessa), Susanna Paisio (la novizia del dubbio), Chiara Rosental (la novizia del deserto). Musiche di Gilberto Richiero, partecipazione dei Piccoli Cantori di Torino, diretti da Giorgio Guiot. Giorgio Straniero Articolo di Silvia Francia da “La Stampa” La Sindone sulla scena La Stampa-Torino, 29 maggio 1998 Venti attrici e un solo interprete per ripercorrere sul palcoscenico un momento cruciale della storia della Sindone. Il cast al femminile vestira’ i panni delle clarisse del monastero di Chambery che riparano il Sacro Lino, due anni dopo l’incedio della Sainte-Chapelle che ne aveva danneggiato alcune parti. L’atmosfera claustrale e la sacralita’ di quel lavoro di rammendo, durato quindici giorni, saranno rievocate nel Cortile del Seminario (via XX Settembre 83), dall’11 al 13 giugno alle 21, con la messa in scena de “Il Segno” curata dall’associazione Progetto Cantoregi. L’allestimento e’ realizzato con contributi di Regione, Comune, Provincia, del Comitato per l’Ostesione della Sindone e dell’Arcidiocesi di Torino. “Si tratta dell’unico spettacolo sostenuto dal Comitato per l’Ostensione della Sindone, dal momento che non si voleva certo trasformare questo evento in una kermesse”, ha spiegato l’assessore Giampiero Leo che, con il collega Ugo Perone, ha presentato la manifestazione ieri in Comune. Sottotitolato ” Mistero drammatico sulla Sindone”, “Il Segno” si fonda su un testo di Giacomo Bottino ispirato a una cronaca anonima del XVI secolo (scritta probabilmente dalle stesse monache che ebbero in custodia la Sindone, spiega Bottino): alla drammaturgia hanno collaborato Aldo Longo, Marco Pautasso e i registi dello spettacolo, Vincenzo Gamna e il giapponese Koji Miyazaki. Ad animare la comunita’ monastica che ebbe in custodia la sacra reliquia sono le interpreti Elsa Abrate, Alessandra Lappano, Susanna Paisio e Chiara Rosental, affiancate da una quindicina di attrici della Cantoregi, mentre Riccardo Lombardo veste i panni del capitano della guardia ducale che consegno’ la Sindone alle suore. Non manca la “partecipazione speciale” di una quarantina di vigili del fuoco (protagonisti del salvataggio della Sindone nel ’97) che rievocano l’incendio della Sainte-Chapelle con un “colpo di teatro” non svelato dagli autori. In un’atmosfera rarefatta e simbolica, si muovono le monache, parlando lingue differenti a seconda del loro rango: da un popolaresco miscuglio di dialetti alla terminologia mistica. Costruito attorno al monologo interiore di una clarissa che ha scelto il “deserto”, cioe’ solitudine e silenzio, lo spettacolo e’ articolato in 14 quadri, come una sacra rappresentazione: un racconto “in bilico tra la cronaca in presa diretta e la testimonianza immaginaria”. Silvia Francia Articolo di Osvaldo Guerrieri da “La Stampa” “Il Segno” con il Progetto Cantoregi La Stampa-Torino, 14 giugno 1998 Il Progetto Cantoregi di Vincenzo Gamna non poteva non cogliere l’enorme suggestione irradiata dalla Sindone. Al di la’ del mistero religioso e degli enigmi scientifici, quel lenzuolo e’ profondamente radicato nella devozione popolare; e poiche’ la Cantoregi e’ nata e si e’ sviluppata sulla costola nobile del racconto popolare, ecco ” Il segno”, un “mistero drammatico” firmato da Giacomo Bottino, Vincenzo Gamna, Aldo Longo, Koji Miyazaki e Marco Pautasso, andato in scena nel cortile del Seminario di via XX Settembre. Lo spettacolo si ispira alla Cronaca delle monache Clarisse di Chambery che nel 1534, mentre rammendavano la Sindone danneggiata dall’incendio del 1532, lasciavano una descrizione vibrante dell’immagine impressa sul lino. Per uno straordinario sortilegio immaginativo, quelle parole e quelle note invadono l’animo di chi (novizia e no) abita il monastero, hanno il potere di valicare le barriere del tempo, per cui l’incendio di allora si confonde e si mescola con quello dell’anno scorso, i tormenti delle recluse sfumano in altre e piu’ contemporanee lacerazioni. Detta cosi’, la vicenda sembra tendere a un “assoluto innaturale” da cui, pero’, lo spettacolo e’ lontano. E magari l’avessimo avuto quel tipo di astrazione. Forse saremmo usciti dal bellissimo cortile con un diverso stato d’animo. Il fatto e’ che, questa volta, non siamo riusciti ad apprezzare fino in fondo il lavoro di Gamna. Preso a frantumi, lo spettacolo e’ colmo di suggestioni, di finezze, di ricercatezze. Ma, allargando lo sguardo alla visione d’insieme, il risultato lascia insoddisfatti. Perche’? Di sicuro il ritmo e’ slabbrato, reso piu’ faticoso da qualche disguido tecnico; di sicuro ci sono troppi livelli e intrecci espressivi; ma poi, da questa tela non propriamente fitta sbucano spettacolarismi discutibili. La calata dei pompieri e’ un giochino un po’ facile, la metafora del lenzuolo un po’ troppo insistita, le proiezioni iconografiche inutili. Insomma nessuno ha fatto come Sant’Antonio nel deserto, che ha saputo resistere alle tentazioni della grandiosita’. Ma l’impegno (anche della compagnia) e’ degno d’applauso. Osvaldo Guerrieri

Gocce d’acqua

PRIMA: Torino, Centro internazionale antica abbadia, 15 gennaio 1998 AUTORE: Pier Francesco Poggi REGIA: Vincenzo Gamna MUSICHE: Scelte a cura di Marco Pautasso SCENOGRAFIE: Koji Miyazaki COSTUMI: Giuliana D’Alberto LUCI: Dario Sardo SUONO: Gianfranco Poma INTERPRETI: Dario Geroldi (Garcia), Antonello Ligia (Max) Libretto Due uomini reclusi, non è dato sapere né dove, né quando, né perché. Vivono segregati in una cella – dove il tempo si disarticola, non ha più scansione – , separati dal mondo, privati dei punti di riferimento abituali, non solo spaziali.Ma invece di perdersi nello spaesamento che plana inesorabile sulle loro esistenze o di lasciarsi sopraffare dall’ombra dilagante della disperazione, sublimano l’ansia di affrancarsi dalla coazione ingaggiando un inusitato duello verbale, una “singolar tenzone” in cui si incrociano, avvicendandosi, gioco, complicità, ironia, rimpianto, passione, rabbia. Una contesa di parole anche sofferte per superare la coercizione, per lenire il dolore, per immaginare di modificare la geografia di una cella, per innescare nuove speranze.

Storie di mezzanotte

PRIMA: Carignano. Cortile di palazzo Cavalchini Garofoli, 20 settembre 1997 TESTO: Vincenzo Gamna, Aldo Longo, Marco Pautasso REGIA: Vincenzo Gamna COSTUMI: Luciana Bodda, Giuliana D’Alberto INTERPRETI: Silvana Medail (Proibito invecchiare), Margherita e Silvana Fagnani (Carignan d’antan), Orazio Ostino (‘Na scudela d’fioca), Dino Nicola e Elio Petitti (Le man Veuide), Nuccio Cantamutto (Il Carmagnola), Elsa Abrate (L’Erbo dla libertà), Dino Nicola (La Malora), Maria Rosa Flesia e Orazio Ostino (Le signorine Settembre provano il Gelindo), Carla Ostino, Giuliana Moschini e Dario Geroldi (narratori)

IT 174517

PRIMA: Carmagnola (Borgo Salsasio), Area Vergnano, 14 giugno 1997. Una nuova edizione dello spettacolo dal titolo Quel viaggio è andata in scena nel 1999 a Torino presso le Officine Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato, con esordio il 14 settembre TESTO: libera riduzione da “L’Istruttoria” di Peter Weiss ad opera degl studenti del Liceo classico “Baldessano” REGIA: Vincenzo Gamna e Koji Miyazaki COSTUMI: Giuliana D’Alberto INTERPRETI: Dario Geroldi (il giudice), Franco Gambino (il rabbino), Letizia Carena (la bambina), Stefano Frea (il medico del lager), Ezio Baldini- Maurizio Borin (i nazisti), allievi e allieve del Liceo classico “Baldessano” di Carmagnola Libretto Parlare di ieri per comprendere l’oggi. Aprire uno dei capitoli più bui della storia dell’uomo, per provare a fare luce sul presente. Perché ricordare attraverso la messinscena dell’oratorio in canti di Peter Weiss l’atroce realtà dello sterminio di milioni di ebrei, prigionieri politici, omosessuali, zingari, testimoni di Geova, non si riduce ad uno sterile esercizio di memoria. Diviene invece efficace antidoto da fornire doverosamente alle giovani generazioni, lo strumento per prendere coscienza di quale abisso di crudeltà, di spietatezza sia sempre capace l’animo umano, per comprendere appunto perché possano essere ancora oggi drammaticamente d’attualità temi come razzismo, antisemitismo, pulizia etnica. Lo spettacolo teatrale, tratto da L’istruttoria di Peter Weiss, è dedicato alla memoria di Primo Levi nel decennale della scomparsa. Il titolo infatti riproduce il suo numero di matricola ad Auschwitz. L’istruttoria deve il suo titolo al processo tenutosi a Francoforte nel 1963-64 contro i maggiori responsabili del lager di Auschwitz. Dai crudi verbali del processo, da quelle testimonianze Weiss trasse gli elementi per costruire un impianto drammaturgico che fa rivivere senza enfasi quella tragedia collettiva, che riesce nell’intento di rendere memorabili i personaggi, vittime e carnefici, di quell’inferno contemporaneo, facendoli assurgere quasi a simboli di un’umanità offesa. La rappresentazione è frutto del laboratorio teatrale tenutosi nel corso del corrente anno scolastico presso il liceo classico G.Baldessano di Carmagnola; vi hanno lavorato 42 studenti appartenenti alle diverse classi, coordinati dai professori Caterina Gargano, Gabriella Gavinelli, Lucia Occhino ed Eugenio Vattaneo. La scuola si è avvalsa della collaborazione tecnica e artistica dell’Associazione Progetto Cantoregi di Carignano. Nel testo si alternano interventi di numerosi personaggi. La figura del giudice è affidata ad una voce fuori campo di un solo attore (Dario Geroldi), i prigionieri, i testimoni e gli imputati sono invece interpretati dai ragazzi che intervengono a livello ora individuale ora corale, differenziando le impostazioni gestuali in base al ruolo assegnato. Nell’intento di sottolineare il valore insostituibile della testimonianza contro l’oblio e l’indifferenza per una difesa e non di maniera della memoria storica, va inoltre segnalata la partecipazione all’allestimento di un ex deportato, Ferruccio Maruffi, che concluderà questo “rito laico” leggendo una poesia di Primo Levi. Articolo tratto da “La Stampa” Carmagnola, suggestivo spettacolo di Gamna con 50 studenti Un'”Istruttoria” in cortile Aguzzini e sopravvissuti, impeccabili Vincenzo Gamna ci ha abituati da tempo a spettacoli non solo formalmente decorosi, ma a un teatro intimamente necessario. Una volta erano gli autodrammi della città di Carignano;di recente sono state le forme del teatro d’autore. In un caso e nell’altro Gamna non ha mai mirato allo spettacolo per lo spettacolo, ma ha utilizzato il palcoscenico per dare espressione a un comune sentire, o per riflettere come in uno specchio le storie concrete di vita, memorie, sentimenti, rimorsi. L’ultimo prodotto, presentato nell’area Vergnano di Carmagnola, s’intitola IT174517. Dietro questa sigla per qualcuno enigmatica si nasconde L’istruttoria di Peter Weiss. Ma poiché lo spettacolo è dedicato alla memoria di Primo Levi nel decennale della morte, ecco apparire quel sinistro IT174517, che fu il numero di matricola impresso sull’avambraccio di Levi nel momento in cui il futuro scrittore entrò nel campo di Auschwitz. Levi e Weiss, procedono dunque paralleli, non solo perché lo spettacolo registra la voce dell’uno e quella dell’altro, ma perché l’uno e l’altro esprimono la stessa terribile esperienza: Levi fu testimone diretto di un eccidio che sarebbe delittuoso dimenticare o sminuire; Weiss fu scriba del processo intentato contro gli aguzzini di Auschwitz. Non è un caso che fra i sostenitori dell’impresa, oltre alla Città di Carmagnola, alla Provincia di Torino e alla Regione, figuri anche la Comunità ebraica di Torino.Lo spettacolo di Gamna rivela un duplice atteggiamento nei confronti di questa atroce materia: partecipazione emotiva non separata da lucido distacco storico. Il regista (che ha diviso la responsabilità con Koji Miyazaki) ha lavorato principalmente con una cinquantina di studenti del liceo classico Baldessano di Carmagnola, nei quali si è inserito l’attore Dario Geroldi, che ha prestato la voce fuoricampo al personaggio del giudice. Nel cortile dell’antica fabbrica ormai dismessa, e dinanzi alle gradinate per gli spettatori, una vasta pedana recava la stella gialla di David. Oltre la pedana, un vagone ferroviario evocava immediatamente quelle deportazioni che erano tragedia a cominciare dal viaggio. Dal vagone su cui vigilavano due sinistri SS, si catapultavano come fagotti di carne tutti coloro che pre varie ragioni (per essere ebrei, omosessuali, o zingari, o asociali) venivano internati nei campi. Lo spettacolo riproduce lo schema dell’Istruttoria, i sopravvissuti depongono al processo contro gli aguzzini. Questi sono interpretati dal coro, che naturalmente cerca di minimizzare le responsabilità (“obbedivo agli ordini”) o le nega. Con le singole testimonianze prendeva consistenza la parata degli orrori che i nazisti perpetravano ad Auschwitz, emergeva la bestialità dei carcerieri, il loro sadismo a volte travestito di buone maniere, come appariva dal comportamento del medico del lager. senza una sbavatura, con una secchezza espressiva ammirevole e con una impeccabile geometria d’insieme, i giovani attori hanno dato vita alla rappresentazione di un crimine storico, il cui fantasma è ancora agghiacciante. A fine spettacolo l’ex deportato Ferruccio Maruffi ha letto il celebre Canto dei morti invano di Primo Levi. In quel momento, nel buio denso che separava noi del pubblico da lui, è a apparsa una lucciola. Un caso, si capisce. Ma il pulsare minuscolo di quella luce, nella generale commozione, assumeva quasi il valore di un simbolo. Osvaldo Guerrieri Tratto dal TG3 Regionale Teatro al liceo Largo ai giovani! Al termine delle stagioni teatrali regolari, molti appuntamenti col teatro studentesco, spesso di eccellente fattura. E’ il caso di quello proposto dal liceo Baldessano di CArmagnola, nella suggestiva area industriale dell’ex-Alpestre, con la libera riduzione dall’Istruttoria di Peter Weiss, dedicata alla memoria di Primo Levi. Ha infatti per titolo IT174517 lo spettacolo dei ragazzi, numero di matricola di Levi nel campo di concentramento. L’Istruttoria, come è noto, altro non è che la drammatizzazione degli interrogatori del processo contro i carnefici di Auschwitz: da una parte gli aguzzini, dall’altra i sopravvissuti. Grande tensione recitativa tra i giovani, impeccabili interpreti che il regista Vincenzo Gamna ha portato a un livello quasi professionistico. Numerosi ed apprezzabili i colpi di teatro nella messinscena, che risolvono poeticamente le asprezze del testo, una drammaturgia di coralità tra un vagone ferroviario e sullo sfondo una ciminiera, simboli potenti. Restano in candide mutandine e magliette i ragazzi, nella finzione destinati ai forni, e scrosciano gli applausi di un pubblico commosso. Firma con Gamna la regia Koji Miyazaki per il Progetto Cantoregi. Sergio Ariotti

De Peste

QUAE FUIT IN ANNO 1630 PRIMA: Carignano, Liceo Scientifico, 18 settembre 1996. Un’edizione dello spettacolo è andata in scena nel 1998 (con esordio il 6 novembre), presso la Sala d’arte (Caserma Musso) di Saluzzo, al termine del laboratorio teatrale tenuto dalla Cantoregi presso l’I.T.C. “Denina” di Saluzzo. TESTO: proposta degli studenti del Liceo di Carignano con la collaborazione di Gamna e Pautasso da I promessi sposi di Alessandro Manzoni REGIA: Vincenzo Gamna INTERPRETI: Quarantaquattro attori in scena tra studenti, genitori e docenti della scuola Libretto L’azione drammatica si sviluppa attorno a tre storie – due di ispirazione classica ed una moderna – che si intrecciano tra loro e risultano ricche di analogie e parallelismi. I fatti milanesi narrati nei Promessi Sposi, all’interno dei quali viene inserito il mito di Orfeo ed Euridice, offrono un’occasione di riflessione su eventi dei nostri giorni: la peste manzoniana richiama la peste moderna, l’AIDS, mentre il mito rimanda ad una dimensione più personale della malattia, dell’emarginazione, della solitudine. La finzione scenica indica nella scelta della solidarietà umana e sociale una soluzione (l’unica?) o almeno un rimedio al disagio fisico e spirituale, ancora oggi più che mai presente, che, sia pure in diversa misura, ci accomuna. I. L’INTROITO Dopo un percorso nella realtà che non vogliamo vedere ed un ricorso simbolico al mito, espresso da Orfeo, che sulle note di Gluck, invoca la sua Euridice, ci si immerge nella finzione teatrale:la luce, il segno, espressione visibile nella diversità, e l’om liturgico danno l’avvio alla narrazione drammatica. Il coro introduce l’atmosfera manzoniana. II. NOTIZIE DELL PESTE Gli strilloni moderni e i lettori di Manzoni contrappongono alle drammatiche informazioni sulla diffusione dell’AIDS nel mondo le sempre più allarmanti notizie dell’avanzare della peste nel milanese. III. CECILIA La madre, le madri, depongono il proprio figlio nel carro condotto dai monatti. Il notissimo episodio manzoniano di Cecilia permette di esprimere il dolore e la sofferenza al di fuori di ogni tempo e la possibilità che siano affrontati con una partecipazione corale. IV. ORFEO ED EURIDICE Una lezione scolastica e le note di Gluck rievocano il mito di Orfeo ed Euridice V. IVAN E LAVINIA L’azione drammatica si riferisce all’attualità: l’angosciato appello di Lavinia, l’Euridice dei giorni nostri, punta dal serpente della droga, esprime la solitudine estrema che sempre il disagio reca con sè. La teoria di fleboclisi illumina di partecipato affetto chi sa unirsi al dolore, e l’amore attenua la sofferenza. VI. CARESTIA Ritorno ad una narrazione ispirata al testo manzoniano: la fame e la carestia animano la rivolta; Renzo si appella ad una giustizia che sembra distante dalla società degli uomini. VII. PIOGGIA La pioggia lava, porta via il male, purifica e libera, infine. Tratto dal TG3 Regionale La festa a Carignano Il teatro è materia d’insegnamento: se n’è parlato a lungo, ci sono state circolari ministeriali, e poi tutto dimenticato? Non a Carignano dove il locale liceo scientifico Baldessano ha coronato con uno spettacolo di singolare maturità un laboratorio teatrale durato un anno. Ad affiancare gli insegnanti nel lavoro di drammaturgia il regista Vincenzo Gamna. De peste è il titolo della proposta teatrale, rappresentata nell’ampia palestra del liceo. Tre nuclei narrativi: la peste manzoniana, il correlato flagello dell’AIDS, il mito di orfeo ed Euridice. Dal loro combinarsi nasce De peste, scandaglio nei malesseri contemporanei, il cui unico rimedio, dicono i ragazzi, è la solidarietà, l’identificazione in un gruppo culturalmente aperto. Sono più di quaranta gli allievi coinvolti nell’attività didattico-teatrale, tutti alle prime esperienze. Il risultato dimostra quanto il teatro possa davvero essere una disciplina straordinaria, una metodica, uno strumento dell’apprendere. De peste, che privilegia una coralità recitativa non dissimile da quella espressa dal Laboratorio Teatro Settimo, merita certo altri palcoscenici, e l’esperimento è degno di essere imitato. Sergio Ariotti

Una finestra sui cortili

Proposta teatrale in cinque episodi di Vincenzo Gamna, Marco Pautasso, Eugenio Vattaneo, introdotti da cinque dialoghi intitolati Ij Matarassè scritti da Aldo Longo 1) NIDIFICATE, APES… PRIMA: Carmagnola, Ex-monastero Sant’Agostino, 31 maggio 1996 TESTO: Igor Longo REGIA: Vincenzo Gamna AMBIENTE: Koji Miyazaki COSTUMI: Giuliana D’Alberto INTERPRETI: Nuccio Cantamutto (frate Crisostomo), Adriano De Andreis (padre Bernardo), Dario Geroldi (frate Goffredo), Orazio Ostino (frate Bonaventura), Nicola Stante (frate Gerolamo), Claudio Camia (frate Ademaro) 2) IL CIELO PARATO A LUTTO PRIMA: Carmagnola, Casa Cavassa, 7 giugno 1996 TESTO: Mario Monge REGIA: Vincenzo Gamna AMBIENTE: Koji Miyazaki COSTUMI: Luciana Bodda, Giuliana D’Alberto INTERPRETI: Alida Calvo (Costanza), Alessandra Lappano (Bianca), Andrea Pezzi (Zan), Manuela Zulian (Celina), Lorenzo Beltrando (Scrivano), Franco Gambino (Cronachista) 3) ANGELO BELL’ANGELO PRIMA: Carmagnola, ex-Ospizio Cavalli, 14 giugno 1996 TESTO: Eugenio Vattaneo REGIA: Vincenzo Gamna AMBIENTE: Koji Miyazaki COSTUMI: Luciana Bodda, Giuliana D’Alberto INTERPRETI: Elsa Abrate (Lucia), Antonietta Gramaglia (suor Virginia), Alessandra Lappano (psicologa) 4) LE DUE MADRI PRIMA: Carmagnola, Mulino Moneta (Collo), 21 giugno 1996 TESTO: Vincenzo Gamna, Aldo Longo, Marco Pautasso, Eugenio Vattaneo REGIA: Vincenzo Gamna AMBIENTE: Koji Miyazaki COSTUMI: Luciana Bodda, Giuliana D’Alberto INTERPRETI: M. Giraudi (Margherita), Carla Ostino (Itala), Giuliana Moschini (la maestra), Elsa Abrate (la partigiana), Teresio Donato (il pensionato) 5) ARPA D’AMORE PRIMA: Carmagnola, ex-Casa Carità, Casa Lionne, 28 giugno 1996 TESTO: Eugenio Vattaneo con la collaborazione di Dario Airasca REGIA: Vincenzo Gamna AMBIENTE: Koji Miyazaki COSTUMI: Luciana Bodda, Giuliana D’Alberto INTERPRETI: Dario Geroldi (il conte Lionne), Igor Piumetti (il nipote), Lavinia Ravera (Giulia), Alessandro Albanese (il conte giovane), Giacomo Ciulla (il sindacalista), Nunzia La Stella (la moglie)

Nebbia

AUTODRAMMA DI EMIGRANTI PRIMA: Carmagnola (Borgo Salsasio), Oratorio di San Francesco, 30 giugno 1995 TESTO: Vincenzo Gamna, Marco Pautasso, Eugenio Vattaneo, da un’idea di Angela Inglese REGIA: Vincenzo Gamna e Koji Miyazaki MUSICHE: Fulvio Albano e Gilberto Richiero COSTUMI: Giuliana D’Alberto LUCI: Dario Sardo INTERPRETI: Centotrenta attori, soprattutto provenienti dai quartieri Salsasio e San Francesco di Carmagnola, tra cui Giacomo Ciulla (padre famiglia del sud), Maria Ruccella (madre famiglia del sud), Orazio Ostino (padre famiglia del nord), Nicola Stante (Don Andrea) Libretto “Quando arrivammo qui nell’autunno del 1963, scendemmo alla stazione di Carmagnola, e… non vedevamo nulla! Tutto era avvolto da una nuvola grigio-bianca. Scesi dal treno, scoprimmo che era umida, ma, come allungavamo la mano per toccarla, diventava niente. Che strano il nord, pensavamo, chissà cos’è questa diavoleria che si vede ma non si può afferrare”. La nebbia che accoglie al nord le famiglie meridionali nei primi anni sessanta, come la nebbia che accompagnava gli emigranti piemontesi d’inizio secolo nel loro avvicinarsi al porto di Genova, da cui salpavano destinazione “Americhe”. A ben vedere, più di un semplice fenomeno atmosferico, ma qualcosa che incombe, che sovrasta, che pesa: quasi un destino. Forse una maledizione. Che ammanta esistenze senza sole, e le avvolge come una bandiera, che hai i tristi colori della miseria, della solitudine, della disperazione. Ma nel contempo è la soglia impalpabile da varcare per aprirsi alla speranza, alla luce. E’ la cattiva coscienza, la cortina di pregiudizi e di diffidenza alzata artificiosamente per filtrare la visione della realtà, la barriera da frangere per cogliere la ricchezza nella diversità. E’ il velame che appanna la memoria, il dissolversi dei ricordi, lo svuotarsi di emozioni legate alle proprie tradizioni nell’omologazione distruttiva di un quotidiano che è arduo da accettare. E’ l’offuscamento della ragione da cui possono però trasparire improvvisamente bagliori, emergere pensieri, desideri di cambiamento che chiedono ora conto del loro esistere. Che spingono ad una azione, ad un movimento. Ad un gesto teatrale. Per provare a capire. A far luce. Per riguadagnare il sole perduto. Una raccolta di testimonianze. documento di un’epoca, si fa architettura di una vicenda di una storia che è insieme tante storie, comuni a molti luoghi, in cui riconoscersi, forse riviversi, senza necessariamente identificare persone realmente esistite. Tanti frammenti di vita radunati per comporre un grande affresco popolare, tante voci apparentemente in distonia, armonizzate in un coro, per cantare di una malora, della sventura di chi si vede costretto ad espiantare le proprie radici per coltivare speranze in un altrove spesso ostile. Di chi vive nella nebbia, oggi come ieri. Come sempre. Articolo tratto da “La Stampa” Centocinquanta attori dilettanti in scena alla periferia di Carmagnola Nebbia, dramma dell’emigrazione Lo spettacolo proposto dalla Cooperativa Cantoregi Bella epopea di quartiere messa inscena dai suoi stessi abitanti. Centocinquanta attori non professionisti, per un esodo “biblico” senza ritorno, per un’odissea la cui Itaca è la periferia di Carmagnola. Proprio ai margini della città piemontese, prati e caseggiati del quartiere di San Francesco sono il fondale di Nebbia, lo spettacolo proposto dalla Cooperativa Cantoregi e dal Comitato “Il giorno di San Giacomo”. Protagonista dell’allestimento, la storia scritta “in corsivo”: microstoria confinata attorno ad un agglomerato che ospitò, dagli anni Sessanta, gli immigrati meridionali e ad una chiesetta di legno fondata da un parroco illuminato (interpretato da Nicola Stante). Attori della pièce: gli stessi protagonisti di quell’esperienza, o i loro figli e nipoti, coordinati dal regista Vincenzo Gamna e dal giapponese Koji Miyazaki. Perseguita con scrupolo la cifra dell’amatorialità, del “volontariato” teatrale: per quanto concerne la prassi collettiva e domestica della realizzazione, non certo per l’esito dello spettacolo, che niente ha da invidiare a più titolati allestimenti. Il sottotitolo Autodramma di emarginati è esplicito. Storie personali: ogni “riferimento a fatti accaduti” è voluto. A partire dall scenografi che disegna l’ex quartiere-ghetto come un fortino blindato in lamiera ondulata. La scena mobile si apre ad accogliere suggestivi impasti: dramma e farsa, musical e commedia, movimenti coreografici ad effetto e quadri alla Pellizza di Volpedo, pathos e un po’ di patetico: sul palco persino una partita di pallone, l’interno di una fabbrica e un’auto in movimento. Commistioni anche per i testi (di Gamna, Marco Pautasso ed Eugenio Vattaneo) che, al “parlato semplice” della memoria popolare mescolano brani dalle Troiane, o dal vangelo di Luca. Mentre percussioni metalliche si alternano a canti popolari, brani di Mina e della “Penguin Café Orchestra”. La piccola storia di quartiere si fa storia grande, e parte a ritroso, dall’emigrazione primo-novecentesca dei piemontesi in Argentina. Si passa poi alla vicenda di una famiglia del Sud arrivata a Carmagnola nel ’63. Protagonisti, Giacomo, Maria, i loro figlie nonna Lucia. Tra lavoro in fabbrica e ricerca di una casa, otterranno l’agognata integrazione siglata da un matrimonio “misto”. Ma già compaiono gli scuri profili dei nuovi emigranti. Su tutto, un velo di nebbia ritornante come una coltre calata sulla coscienza. Come il marchio di una storia che semina le sue croci nell’oblio e si ripete puntuale. Silvia Francia Tratto dal TG3 Regionale La nebbia accompagnava gli emigranti piemontesi che all’inizio del secolo partiivano da genova diretti in America. La nebbia accoglie alla stazione le famiglie meridionali che arrivano al nord nei primi anni Sessanta. Su questo simbolico filo conduttore Vincenzo Gamna costruisce un’altra delle sue grandi storie corali. Centotrenta attori non professionisti raccolti tra gli abitanti di Carmagnola, diciotto quadri a raccontare l’incontro-scontro di una comunità alle prese con i problemi dell’immigrazione, fra incomprensioni, tragedie, aperture di speranza, nuove difficoltà all’orizzonte. Una testimonianza collettiva fata di frammenti di vita, singole voci alternata con il ritmo fluido di stilizzati movimenti di danza, luci e canti a comporre un affresco popolare, il documento di un’epoca. Molto efficaci i protagonisti, grandi e piccoli, con l’autenticità dei loro volti e dei loro gesti. Un scenario aperto e suggestivo nel cortile della chiesa di San Francesco. Graziella Riviera

Le nostre mani

UN PASSO VERSO L’INTEGRAZIONE PRIMA: Nichelino, Castello Occelli, 15 luglio 1994 REGIA: Vincenzo Gamna INTERPRETI: Quindici ragazzi coinvolti nel Progetto Area Handicap Ussl 33, nell’ambito dell’iniziativa “Teatro e altro” Libretto “Tutti gli uomini hanno un loro nodo alla scarpa, una loro cosa che non sanno fare; una loro incapacità che li lega agli altri uomini. La società si regge ormai su questa asimmetria degli uomini:è un incastro di pieni e di vuoti.” Italo Calvino I quadro: Dentro II Quadro: Angeli custodi III quadro: Nihili locus “…L’inizio della storia appare allora come il compimento di un’evoluzione: da nulla in tutto.” IV quadro: Boom e Babele “Com’è bella la città!” V quadro: Le nostre mani “La creazione di un mondo ideale, frutto dell’incastro di pien e di vuoti, è nelle nostre, è nelle Vostre mani.” VI quadro: Fuori “… sfidare talvolta l’impossibile per trovare la strada di una possibile integrazione.” VII quadro: Insieme “I giorni futuri stanno avanti a noi come una fila di candele accese.” VIII quadro: In viaggio “Un’occasione per incontrare…” IX quadro : La prima cena “Non cesseremo mai di esplorare e la fine delle nostre esperienze sarà arrivare al punto di partenza e per la prima volta conoscere quel luogo.” Articolo tratto da “La Stampa” Teatro speciale per i 300 anni di Nichelino In festa sulla scena ragazzi da amare La strada della comunicazione, della vita, attraverso la storia di un paese. Il palcoscenico per rappresentare una via d’uscita all’handicap. Le nostre mani: questo il titolo dello spettacolo in pro gramma nell’ambito di “Nichelino estate”, rassegna organizzata dal comune e dalla Cooperativa Io in occasione del tricentenario della città. Insolito, rispetto agli altri spettacoli in cartellone, l’appuntamento odierno sottotitolato “un passo verso l’integrazione raccontando la storia di Nichelino” realizzato coi fondi del progetto “Teatro e altro” della Provincia di Torino, dalla Ussl 33 e dalla compagnia teatrale Progetto Cantoregi, per la regia di Vincenzo Gamna. In scena 13 ragazzi portatori di handicap. “Sono giovani di età compresa tra i 15 e i 28 anni, con problemi psicofisici di vario tipo che hanno realizzato questo spettacolo, in cui la narrazione è prevalentemente “visiva”, con un minimo di supporto orale”, spiegano all’Ussl 33. Sul palco oltre al gruppo di attori, due educatori, mentre scenografie, costumi e materiali di scena sono stati realizzati dagli stessi operatori del Servizio Socio Assistenziale. Lo spettacolo, centrato su una storia-non storia, che procede su suggestioni, declina le tematiche dell’handicap prendendo come spunto un gioco verbale. ” Partendo dalla tesi di Nichelino come “Nihili locus”, abbiamo esteso il concetto alla città, come “posto dove no esiste nulla” e all’handicap, come “persona che non ha posto”” precisano i responsabili. “L’intento è proprio quello di mostrare che può esserci un posto adatto anche a chi ha delle limitazioni psicofisiche, oltre a sottolineare che chiunque può, avendo opportuni atteggiamenti, aiutare persone handicappate a vivere una vita normale, lavorare, sognare e comunicare come tutti”. Silvia Francia

Il giorno di S. Giacomo

PRIMA: Carmagnola, Cortile dell’oratorio “Don Bosco”, Borgo Salsasio, 27 maggio 1994 TESTO: drammatizzazione storica ideata e realizzata dal Laboratorio Teatrale del Liceo “Baldessano”, con la collaborazione della gente di Salsasio e dell’Associazione “Progetto Cantoregi” REGIA: Vincenzo Gamna INTERPRETI: Novanta attori tra studenti del Liceo “Baldessano” e abitanti di Borgo Salsasio. Libretto All’alba del 25 luglio 1944 il Borgo Salsasio si risveglia senza presagire la catastrofe imminente. La vita, se pur travagliata dalla guerra, scorre come ogni giorno scandita dalle azioni quotidiane e dal lavoro nei campi. Ma quel giorno insieme alle case, agli animali, agli oggetti cari, andarono bruciate le vite di persone semplici a cui l’ncendio tolse ogni cosa. I carmagnolesi ancora ricordano il triste episodio. Oggi, a cinquant’anni dalla catastrofe, il desiderio di ricordare per non dimenticare arriva dai giovani. Stretti nella collaborazione reciproca, gli studenti del liceo Baldessano e la gente di Salsasio hanno voluto portare testimonianza dell’incendio che distrusse il borgo il 25 luglio del 1944 e sensibilizzare tutti tramite l’autodramma. Tratto dal TG3 Regionale Un fatto storico accaduto a Salsasio, uno dei più antichi borghi di Carmagnola, durante la Seconda Guerra Mondiale, un intero paese che si mobilita per commemorarlo, revocando, a cinquanta anni di distanza, quel 25 luglio in cui i nazifascista, in seguito ad uno scontro coi partigiani, incendiarono per rappresaglia più di 100 case. E’ questo lo spettacolo Il giorno di San Giacomo nato dalla collaborazione tra il laboratorio teatrale del liceo Baldessano di Carmagnola e gli abitanti del borgo, dagli anziani ai bambini delll’asilo. Trecento fra interpreti, organizzatori e collaboratori di scena, tutti coordinati dalla regia di Vincenzo Gamna. Un episodio ancora ben vivo nella memoria locale cui i ragazzi hanno dato voce elaborando i testo della rappresentazione e gli anziani portando le loro testimonianze. ne esce una serie di quadri di teatro popolare, corale ed emozionante cui Gamna conferisce toni di superiore pietà e di simbolica rarefazione, muovendo immagini, suoni, gestualità con grande forza evocativa. Autenticamente coinvolti i partecipanti, che recitano con impegno e convinzione, e il pubblico che nel finale si fa parte attiva del dramma e della commemorazione collettiva. Graziella Rivera

Vivere!

Una famiglia nel ’43 PRIMA: Carignano, Chiesa della Misericordia, 15 aprile 1994 TESTO: Vincenzo Gamna, Marco Pautasso e Eugenio Vattaneo REGIA: Vincenzo Gamna MUSICHE: Scelte a cura di Marco Pautasso COSTUMI: Luciana Bodda SCENOGRAFIA: Koji Miyazaki INTERPRETI: Dario Geroldi (Italo), Margherita Gili (Ida), Giuliana Moschini (Jole Giarelli), Maria Rita Flesia (Orsola Calosso), Alessandra Lappano (Serena), Andrea Pezzi (Lorenzo), Alessandro Albanese (Davide Lattes), Giovanni Moretti (voce narante) Libretto “Notte in un paese / senza nome / il sole è sul confine” Nelo Risi Il dovere della memoria, perché l’oblio non avanzi. La forza della memoria, per derivarne un gesto teatrale, possibile e necessario. Come una sofferta discesa nei ricordi, per raccontare della lunga “notte” del ’43, di quell’anno in cui le lancette della Storia parvero impazzire, perché gli eventi che scandiscono e governano il fluire del tempo si succedettero incalzanti: il 25 luglio, l’8 settembre, la Resistenza. Come una fotografia in bianco e nero: per ritrarre un “paese” alla deriva e “senza nome”, ché ha smarrito la sua identità di nazione; per meglio riconoscere le tracce un poco confuse che conducono al nostro presente; e per tentare di distillare le forti emozioni di quei giorni, dove si abbozzarono i colori della nuova Italia. Quelle ore decisive rivivono nella vicenda di una famiglia, del suo avvitarsi agli eventi, al loro vorticare in quel fatidico anno: la fine dell’illusione imperiale, i primi bombardamenti, lo sfollamento, l’autarchia, la caduta del regime, la fame, le tessere e la borsa nera, l’armistizio, i rastrellamenti, gli arresti le deportazioni. Ne esce disgregata, viene spezzata la corda sottile che teneva legati i destini dei suoi componenti, proiettati in una realtà angosciosa che impone scelte risolute e dolorose, strappi affettivi laceranti. Si delineano traiettorie di vita diverse, inconciliabili, forse definitive: ricorrere alla fuga e all’esilio volontario, scegliere senza remore la clandestinità e l’impegno, non volere rinnegare il passato ed anticipare in un atto disperato la propria linea d’ombra. Ma c’è chi scopre nella disperazione il volano di una nuova speranza, da coltivare e crescere nelle avversità, chi nella sofferenza percepisce e recupera le ragioni più profonde del vivere. E cerca semplicemente di affrancarsi dall guerra, che ne ha fatto attori passivi, di mondarsi dal peccato originale che ha macchiato una generazione. Occorre volgere lo sguardo oltre il buio “confine” del momento, là dove stanno i desideri e le idee, Già si intravede il “sole”. Basta sfogliare il calendario della vita: forse si approssima una bella stagione. Di libertà. Articolo tratto da “La Stampa” Torna con successo a Carignano l’originale compagnia del Cantoregi L’intero paese recita in chiesa Dramma di una famiglia disgregata dalla guerra Per opporsi all’oblio, distratto o tendenzioso che sia. Per ricordare in primo luogo a se stessi che la Storia non è nient’altro che il passato collettivo a cui si appartiene e da cui proveniamo. E che in quel passato ci sono le ragioni del nostro vivere presente. del nostro vivere liberi. E’ questa la motivazione profonda che anima Vivere! Una famiglia del ’43, il nuovo allestimento dell’associazione teatrale Progetto Cantoregi, in scena nella chiesa della Misericordia di Carignano. Se non avete mai visto un loro spettacolo, se pensate che per fare teatro oggi siano indispensabili consistenti mezzi economici, contributi ministeriali, attori consumati di fama nazionale, macchinose scenografie computerizzate, andateci, una di queste sere. In quella chiesa vedrete uno spettacolo realizzato da un intero paese, che ha attinto dalla propria memoria, dalla proprie piccole storie che hanno contribuito alla Storia, che ha da sempre, come unico mezzo, un’unica grande passione che lo accomuna. Riscoprirete, forse, il fascino della semplicità, e le emozioni trasmesse da un rito autentico celebrato con sincerità e dedizione. Ciò che si racconta è il dramma di una famiglia di Carignano, disgregata dalla guerra. In quel fatidico 1943, una donna, suo marito e il loro figlio si trovano a dover fronteggiare la caduta del regime, i bombardamenti, lo sfollamento, la fame. Lui, figlio di una maestra elementare al convinto credo fascista, è un reduce di guerra, debole e confuso e sceglierà di rifugiarsi in Svizzera; lei traduce in azione la sua insofferenza e fugge sui monti, aderendo alla lotta partigiana. Resta il bambino, troppo piccolo per capire ciò che sta capitando, ma già sufficientemente grande per accumulare immagini e sensazioni. Sono infatti i suoi ricordi a scandire ed evocare i 15 quadri di cui è composto lo spettacolo, tra le canzonette trasmesse alla radio (l’altare della chiesa è stato trasformato per l’occasione in un’enorme radio d’epoca), sino al cruciale 8 settembre, con i rastrellamenti e i partigiani usciti allo scoperto. La preghiera finale del bambino, in cui l’imperativo fascista “Vincere!” viene finalmente tradotto in “Vivere!”, è inevitabilmente uno dei momenti più toccanti ed intensi. La regia dello spettacoloè come sempre dell’anima del Cantoregi, Vincenzo Gamna, che firma anche il progetto e la composizione accanto a Marco Pautasso ed Eugenio Vattaneo. Una quarantina gli interpreti, tutti abitanti di Carignano. La straordinaria voce recitante è invece quella di Giovanni Moretti. Monica Bonetto